giovedì 2 ottobre 2008

PROCESSO AL CAPO DEL GOVERNO -LA RICHIESTA DEL PUBBLICO MINISTERO FABIO DE PASQUALE SULLA LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DEL "LODO" BERLUSCONI



PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO




Proc. n. 22694/01 R.G.N.R.


Tribunale di Milano
Sezione I penale




Questione di legittimità costituzionale


Il P.M.,

rilevato che l’art. 1 commi 1° e 7° della Legge 23 luglio 2008 n. 124, “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello stato”, appare applicabile nel presente procedimento nei confronti dell’imputato Silvio Berlusconi, soggetto che riveste la qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri;

ritenuto che

le disposizioni di legge richiamate appaiono in contrasto con la Costituzione;

il giudizio nei confronti dell’imputato Silvio Berlusconi non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale;


chiede


che codesto Tribunale voglia dichiarare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 Legge 23 luglio 2008 n. 124 per contrasto con gli articoli 3, 112, 136 e 138 della Costituzione.





PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.2

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1. Violazione dell’art. 3 Costituzione in relazione all’art. 112

1.1

L’art. 1 della Legge 23 luglio 2008 n. 124 al comma 1° dispone: “Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione”.

Al comma 7° si stabilisce che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della presente legge”

La Legge 23 luglio 2008 n. 124 ha riprodotto, con alcune aggiunte, le disposizioni della Legge 20 giugno 2003 n. 140 che all’art. 1 stabiliva:

“1. Non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall'articolo 90 della Costituzione, il Presidente del Senato della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall'articolo 96 della Costituzione, il Presidente della Corte costituzionale.

2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono sospesi, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 e salvo quanto previsto dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime.”

La Corte Costituzionale, con sentenza 24 del 2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 L. 20.6.2003 n. 140 evidenziando una serie di vizi di costituzionalità – irragionevolezza complessiva della disciplina in relazione all’art. 3 Cost.., violazione del diritto di difesa dell’imputato, sacrificio del diritto di azione




PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.3

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della parte civile, irragionevole possibilità di “indefinito protrarsi della sospensione” stante la reiterabilità degli incarichi contemplati nella legge.

Alcuni rilievi sono stati presi in considerazione dal legislatore nella riscrittura della norma, operata con la L. 124/2008, nella quale sono state espressamente previste: la possibilità di rinunciare alla sospensione (2° comma), la non reiterabilità degli incarichi (5° comma – salvo il caso di “nuova nomina nel corso della stessa legislatura”) la possibilità del trasferimento dell’azione in sede civile, in deroga all’art. 75 c.p.p. (6° comma).

Viceversa, il legislatore non ha preveduto alcun meccanismo normativo per evitare, o quantomeno limitare, rischi d’illegittimità già rilevati dalla Corte all’interno della normativa dichiarata incostituzionale quali il carattere generale ed automatico della sospensione prevista dalla L. 124/2008.

1.2

La regola che introduce la sospensione processuale quale effetto dell’assunzione di una carica di rilievo costituzionale dà luogo ad una situazione di temporanea improcedibilità; sul punto la Corte Costituzionale ha osservato che “l’intera gamma delle condizioni di procedibilità […] si fonda su paradigmi di più che evidente ius singulare, trattandosi di norme che fanno eccezione alla opposta e generale regola della azione penale incondizionata, a sua volta ispirata al principio sancito dall’art. 112 della Carta fondamentale” (Ord. n. 33/2003)

La Corte Costituzionale ha da tempo precisato che “che il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale non esclude che l'ordinamento stabilisca determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione di essa, anche in considerazione degli interessi pubblici perseguiti” ( Sent. n.105/1967)

Il giudizio sulla razionalità della norma che introduce lo ius singulare va operata alla stregua del principio di ragionevolezza: “Tale vaglio di ragionevolezza va evidentemente condotto sulla base del rapporto comparativo tra la ratio che ispira, nel singolo caso, la norma generatrice della disparità e l’ampiezza dello “scalino” da essa creato […] mirando segnatamente ad acclarare l’adeguatezza della ratio e la proporzionalità dell’ampiezza di tale “scalino” rispetto a quest’ultima” (Sent. n. 26/2007).

1.3

Lo ius singulare del quale beneficiano i soggetti previsti dalla L. 124/2008 trova fondamento nell’ “interesse al sereno svolgimento delle funzioni che fanno capo


PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.4

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alle più alte cariche dello Stato” (Relazione al disegno di legge n. 1442 presentato il 2 luglio 2008).

Ad avviso della Corte Costituzionale “si tratta di un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale” (C. Cost. Sent. n. 4/2004).

Peraltro, l’interesse al “sereno svolgimento delle funzioni” può in determinate ipotesi soccombere rispetto alla tutela di principi sovraordinati. Come ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 4 del 1965 con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità della c.d. garanzia amministrativa prevista a favore del Prefetto e del Sindaco dagli artt. 8 e 158 del R. D. 4 febbraio 1915, n. 148 (testo unico della legge comunale e provinciale):


“Non é rilevante obiettare che la c.d. garanzia amministrativa intende tutelare la funzione del prefetto, di chi ne fa le veci e del sindaco contro azioni inconsulte la cui proposizione ne lederebbe il prestigio… Spetta all'autorità giurisdizionale riconoscere la temerarietà o la pretestuosità di singole azioni; e peraltro un sistema, come quello in vigore, in cui l'osservanza del limite della competenza e della discrezionalità amministrativa é assicurata, a seconda delle ipotesi, dalle norme concernenti il regolamento delle attribuzioni e dalle altre che, nel Codice di procedura civile (art. 295) e in quello di procedura penale (art. 20), governano la sospensione del processo in relazione all'insorgere di pregiudiziali amministrative, il preordinamento di una ulteriore garanzia a favore del prefetto, di chi ne fa le veci e del sindaco, posto in confronto al principio di parità proclamato nell'art. 3 della Costituzione, appare irrazionalmente distintivo, atteso che altri funzionari amministrativi svolgono compiti non meno elevati e importanti di quelli spettanti al prefetto e al sindaco, ugualmente implicativi di estesi poteri discrezionali”

1.4

Nella Legge 23 luglio 2008 n. 124 la sottrazione di alcuni soggetti al principio della eguale sottoposizione alla giurisdizione, non trova alcun limite e specificazione volti a temperare la tutela dell’interesse al sereno svolgimento delle funzioni con il rispetto di valori costituzionali di rango sovraordinato (in particolare quelli tutelati dagli artt. 3, 111, 112 della Costituzione).




PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.5

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Pare irragionevole, in particolare:

a. che la causa di sospensione si applichi a tutti i reati, senza che sia presa in alcun modo in considerazione la loro gravità (cfr. art. 68 Cost., testo previgente: “senza l’autorizzazione della Camera alla quale appartiene nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale…salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.”);

b. che la causa di sospensione operi automaticamente, senza alcun vaglio preventivo da parte di organi costituzionali (nel sistema previsto dal testo previgente dell’art. 68 il diniego dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza era ricollegato alla prospettabilità di un “fumus persecutionis”)

c. che la causa di sospensione operi in qualunque momento dell’iter processuale, senza alcuna considerazione dell’esistenza/non esistenza di condizioni di fatto o processuali che possano dar luogo ad una situazione assimilabile al legittimo impedimento ( Così C. Cost. sent. n. 4/2004: “E’ un modo diverso, ma non opposto, di concepire i presupposti e gli scopi della norma la tesi secondo la quale il legislatore, considerando che l’interesse pubblico allo svolgimento delle attività connesse alle alte cariche comporti nel contempo un legittimo impedimento a comparire, abbia voluto stabilire una presunzione assoluta di legittimo impedimento”)

1.5

L’irragionevolezza della normativa prevista dalla Legge 23 luglio 2008 n. 124 risulta ancor più evidente dal raffronto con il diverso regime dei reati funzionali previsto dall’art. 96 della Costituzione per i membri del Governo.

L’art. 96 prevede che per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni i membri del Governo siano sottoposti alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati.

La Legge Costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, all’art. 9, stabilisce che l’Assemblea “può a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un




PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.6

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preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”.

La Legge 23 luglio 2008 n. 124 prevede invece, come già detto, un regime di improcedibilità assoluta durante il mandato, senza alcun filtro preventivo.

Nessuna giustificazione razionale è dato rintracciare nell’ordinamento rispetto a questa tutela differenziata.

Nel giudizio instaurato avanti la Corte Costituzionale rispetto alle analoghe previsioni della Legge 20.6.2003 n. 140, solo la difesa erariale ha accennato alcune ragioni a sostegno della razionalità del precetto, affermando che:

“… in una logica di ponderazione e bilanciamento degli interessi in gioco, non è irrazionale che il Presidente del Consiglio continui ad essere perseguibile per i c.d. reati ministeriali e si veda invece sospesi i processi penali per i reati comuni. Infatti, mentre il perseguimento dei reati funzionali non può essere procrastinato, data «la rilevanza di carattere generale degli interessi incisi» e la loro «indubbia maggiore gravità dal punto di vista istituzionale», il perseguimento dei reati comuni ben può essere rinviato al momento della cessazione dell’esercizio delle funzioni protette, visto che la loro commissione comporta la lesione di «interessi cedevoli»”

Tuttavia, tenuto conto che la Legge 23 luglio 2008 n. 124 si applica a tutto il catalogo dei delitti previsti dall’ordinamento, comprese ipotesi di reato prese in considerazione dalle convenzioni internazionali come delitti di spiccata gravità e insidiosità per l’ordinamento democratico degli Stati - ad esempio la corruzione e i crimini transnazionali – il rilievo circa la “cedevolezza” degli interessi lesi dalla commissione di reati extrafunzionali pare puro, antistorico, paradosso.

1.6

A conferma di quanto sopra esposto va considerato che l’esistenza di queste aporie è già stata evidenziata – pur senza direttamente pronunciare un giudizio di illegittimità sul punto specifico – dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 24/2004:

“La sospensione in esame è generale, automatica e di durata non determinata.
Ciascuna di siffatte caratteristiche esige una chiarificazione.
La sospensione concerne i processi per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi, che siano extrafunzionali, cioè estranei alle attività inerenti alla carica, come



PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.7

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risulta chiaro dalla espressa salvezza degli artt. 90 e 96 della Costituzione.
Essa è automatica nel senso che la norma la dispone in tutti i casi in cui la suindicata coincidenza si verifichi, senza alcun filtro, quale che sia l’imputazione ed in qualsiasi momento dell’iter processuale, senza possibilità di valutazione delle peculiarità dei casi concreti.”

La riproposizione nella norma della Legge 23 luglio 2008 n. 124 di tali caratteristiche, senza alcun intervento “migliorativo” da parte del legislatore, volto a specificare e delimitare i presupposti e il modo di operare della sospensione, autorizza in questa sede a ritenere irragionevole la normativa impugnata.

2. Violazione dell’art. 3 Costituzione


Al punto n. 8 del Considerato in diritto della sentenza 24/2004 si legge, con riferimento alla previsione normativa dell’art. 1 L. 20.6.2003 n. 140:

La Corte ritiene che anche sotto altro profilo l’art. 3 Cost. sia violato dalla norma censurata.
Questa, infatti, accomuna in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti.

Nella Relazione al disegno di legge n. 1442 presentato il 2 luglio 2008 si spiega che è apparso “ragionevole limitare il meccanismo della sospensione alle più alte cariche dello Stato che siano anche omogenee tra loro, con riguardo sia alla fonte d’investitura, che promana dalla volontà popolare […] sia al munus esercitato, che ha natura eminentemente politica. Esclusivamente per tale motivo, si ritiene che non possa essere assimilata alle quattro cariche indicate nel comma 1 quella rivestita dal Presidente della Corte costituzionale, diversa per investitura e funzioni”.

Non pare che la modifica intervenuta, limitata all’estromissione del Presidente della Corte Costituzionale dal novero delle “alte cariche” meritevoli di speciale tutela, sia idonea a depotenziare le censure di incostituzionalità espressamente enunciate dalla Corte nella sentenza 24/2004.



PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.8

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In base alla Costituzione e alle leggi vigenti le funzioni esercitate dalle “alte cariche” di cui alla L. 23 luglio 2008 n. 124, sono con evidenza, marcatamente diverse tra loro e solo sommariamente accomunabili nella pretesa omogeneità del munus esercitato “che ha natura eminentemente politica”.

La fonte d’investitura delle predette cariche è disomogenea.

Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune, in composizione integrata da rappresentanti delle Regioni.

I presidenti dei due rami del Parlamento sono eletti dalla camera di appartenenza.

Il Presidente del Consiglio dei ministri è nominato dal Presidente della Repubblica.

Infine va sottolineato che delle “alte cariche” di cui alla L. 23 luglio 2008 n. 124 solo il Presidente della Repubblica è organo costituzionale. Il Presidente del Consiglio non è organo costituzionale, essendo tale qualifica da attribuire al Governo nel suo insieme. I presidenti delle camere non sono organi costituzionali, essendo tale qualifica da attribuire al Parlamento nel suo complesso.

Rimane dunque insuperato il rilievo della Corte concernente la disparità di trattamento “sotto il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione” tra il Presidente del Consiglio e i Presidenti delle Camere e gli organi – costituzionali – da essi presieduti: Consiglio dei Ministri, Camera dei Deputati e Senato della repubblica.


3. Violazione dell’art. 136 Costituzione


Con la L. 23 luglio 2008 n. 124, dunque, è stata riproposta, agli effetti della sospensione dei processi a loro carico, l’equiparazione di “cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni” ed è stata riconfermata, agli stessi fini, la disparità di trattamento tra le “alte cariche” prese in considerazione rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti.

In tal modo è stato anche violato l’art. 136 Costituzione, dal momento che l’intervento legislativo ha disatteso indicazioni espresse della Corte Costituzionale contenute in una sentenza di accoglimento.
Nella sentenza n 922/1988, in un caso di normativa reiterativa di legge dichiarata incostituzionale, la Corte ha osservato:

PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.9

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Di fronte ad una situazione così agevolmente ricostruibile, deve essere affermata la sussistenza dei presupposti necessari per ritenere violato l'art. 136, primo comma, della Costituzione, in base a quanto questa Corte ha avuto modo di precisare non solo con la sentenza n. 73 del 1963, richiamata dall'ordinanza della Sezione istruttoria presso la Corte d'appello di Trento, ma più ancora in due successive occasioni, con le sentenze n. 88 del 1966 e n. 223 del 1983.
Sia pur con riguardo a fattispecie parzialmente diverse dalla presente, perchè dirette a riprodurre in via transitoria una disciplina appena invalidata, la Corte ha da tempo chiarito che , al quale


4. Violazione dell’art. 138 Costituzione

4.1

La L.23 luglio 2008 n. 124, nel disporre l’ automatica sospensione dei processi durante il mandato, ha introdotto a favore delle “alte cariche” ivi menzionate una prerogativa di ordine costituzionale.

Si tratta infatti di una disposizione che deroga al diritto comune ed è volta al fine dichiarato di assicurare ai titolari di talune “alte cariche” una particolare salvaguardia nell’esercizio delle funzioni, garantendone la protezione da condizionamenti/interferenze che deriverebbero dalla celebrazione di processi a loro carico. In questo senso, espressamente, la Relazione al disegno di legge n. 1442 presentato il 2 luglio 2008:

“Onorevoli Deputati! – Il presente disegno di legge introduce un meccanismo di sospensione processuale diretto a tutelare l’interesso al sereno svolgimento delle funzioni che fanno carico alle più alte cariche dello Stato.”

Il rango costituzionale della disposizione è confermato da considerazioni di tipo letterale, sistematico e storico-comparativo.


4.2

E’ di immediata percezione lo stretto legame esistente tra l’istituto della sospensione dei processi durante il mandato, e le disposizioni costituzionali concernenti la responsabilità penale del Presidente della Repubblica e dei membri del Governo per i reati commessi

PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.10

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nell’esercizio delle funzioni. Il legame espressamente risulta dal tenore letterale del primo comma della L.23 luglio 2008 n. 124: “Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della repubblica […] sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione”.

E’ altresì d’immediata percezione che nell’ordinamento vigente le prerogative degli organi costituzionali e dei loro membri sono in genere previste nella Costituzione o in leggi costituzionali, così:

 l’autorizzazione a procedere per i parlamentari in relazione a perquisizioni, limitazioni della libertà pesonale, intercettazioni(art. 68)

 le speciali procedure per la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per i fatti di alto tradimento e attentato alla Costituzione commessi nell’esercizio delle funzioni (art. 90)

 l’autorizzazione a procedere nei confronti dei membri del Governo per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni (art. 96)

 l’autorizzazione a procedere per i giudici della Corte Costituzionale (art. 3 L. Cost. 9 febbraio 1948 n. 1)

 lo speciale procedimento per i reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai Ministri nell’esercizio delle funzioni (artt. 4-13 L. Cost. 16 gennaio 1989 n. 1)

4.3

I lavori preparatori della Costituzione dimostrano che le questioni attinenti alla responsabilità del Presidente della Repubblica sono state espressamente prese in considerazione in sede di redazione del progetto di Costituzione e di approvazione del testo definitivo.

In sede di redazione del progetto, nella seduta della II Sottocommissione del 4 gennaio 1947 venne rilevato che il progetto nulla diceva in ordine alla responsabilità del Presidente della Repubblica (cfr. pag. 31 e 32 del resoconto sommario: “MORTATI informa che il Comitato ha omesso intenzionalmente ogni regolamentazione della responsabilità ordinaria del Presidente. Si tratta quindi di una lacuna volontaria della Carta costituzionale”) e l’idea di accordare al Capo dello Stato una immunità temporanea per i reati comuni venne approfonditamente discussa e commentata (cfr. pag. 32 del resoconto sommario “PRESIDENTE dichiara di preferire una lacuna ad una disposizione che conferisca un privilegio troppo grande al Presidente della repubblica, il quale è sempre un cittadino fra i cittadini, anche se ricopre il più alto ufficio politico.

PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.11

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Non ammetterebbe, infatti, che per sette anni il Presidente della Repubblica non rispondesse alla giustizia del suo paese”).

Nnel corso della discussione in assemblea l’ipotesi di introdurre nella carta costituzionale l’immunità del Capo dello Stato, durante il mandato, per i reati comuni venne di nuovo espressamente avanzata. Venne in proposito presentato un emendamente a firma del deputato Bettiol che recitava “Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni alla legge penale commesse fuori dall’esercizio delle sue funzioni”. L’emendamento ed altri analoghi fu approfonditamente discusso e aspramente criticato (cfr. Assemblea Costituente, seduta del 24 ottobre 1947, resoconto sommario pag. 1512: “CALOSSO - Io non vedo la necessità di costituire al Capo dello Stato una posizione speciale. Noi abbiamo una magistratura che è sovrana ed è uno dei poteri dello Stato. […] Esiste una magistratura, ed io non capisco perché le si debba togliere questa funzione. Persino presso certi popoli coloniali vi è la possibilità di chiamare dinanzi al giudice il governatore che rappresenta il potere sovrano.”)

Sul punto paiono rilevanti le osservazioni di Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione:

“…il Comitato dei diciotto prima di tutto, voglio ripeterlo, non può che mantenere la originaria proposta di non mettere nulla nella Costituzione, proposta deliberata a suo tempo per le considerazioni così largamente svolte in seno alla seconda sottocommissione. Certo è che dopo aver parlato della irresponsabilità negli atti d’ufficio, non si dice nulla di quelli fuori ufficio; si deve ritenere per essi la responsabilità….
…ove l’assemblea decida diversamente, ci sembra che non potrebbe ammettersi immunità anche temporanea, senza che nei casi gravi si possa colpire un Preesidente reo di gravi reati commessi”

Dal resoconto della seduta del 24 ottobre 1947 risulta che l’emendamento volto a stabilire l’immunità temporanea per i reati comuni “dopo prova e controprova non è approvato”.

Il testo finale approvato dall’Assemblea Costituente recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione.”

E’ legittimo dunque affermare che il silenzio della Costituzione in ordine alla responsabilità per reati comuni è intenzionale e che, di conseguenza, ogni intervento sulla materia costituisca modifica della Costituzione.





PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.12

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4.4

Da un punto di vista comparativo risulta confermato che gli ordinamenti che conoscono l’istituto dell’immunità temporanea del Capo dello Stato per i reati comuni hanno previsto questa deroga nella carta costituzionale o in leggi di rango analogo.

Può essere sufficiente, al proposito, il riferimento all’ordinamento portoghese, che all’art. 130 comma 4° “Responsabilità penale” dispone: “Il Presidente della Repubblica sarà responsabile di fronte alle corti, alla fine del suo mandato, per i reati non commessi nell’esercizio delle sue funzioni”. Analoga disposizione è contenuta nell’art. 49 comma 1° della Costituzione greca.

Il più recente e vicino elemento di raffronto è certamente costituito dalla Legge Costituzionale 23 febbraio 2007 adottata in Francia, che ha riscritto il testo degli art. 67 e 68 della Costituzione francese stabilendo che il Presidente della Repubblica, durante il suo mandato, non può essere chiamato a testimoniare, essere citato in giudizio civile o sottoposto a procedimento penale.

4.5

Nella sentenza n. 24/2004 la Corte valutando la complessiva disciplina normativa introdotta con la Legge 20 giugno 2003 n. 140 ha osservato:

“la misura predisposta dalla normativa censurata crea un regime differenziato riguardo all’esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale.
La constatazione di tale differenziazione non conduce di per sé all’affermazione del contrasto della norma con l’art. 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza comporta infatti che, se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale seconda ipotesi, tuttavia, ha decisivo rilievo il livello che l’ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione.
Nel caso in esame sono fondamentali i valori rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l’esigenza di protezione della serenità dello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione
Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti costituzionali. “

L’indicazione contenuta nella sentenza è in linea con la precedente giurisprudenza della Corte, nei casi in cui la stessa sia stata chiamata a giudicare la legittimità costituzionale di autorizzazioni a procedere, immunità, cause di sospensione del processo.



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Ogni deroga al principio dell’eguale sottoposizione alla giurisdizione tocca “fondamentali valori” previsti dalla Costituzione e dunque deve essere introdotto con una disposizione normativa di rango analogo.

4.6

Il problema è stato affrontato dalla Corte già nella sentenza n. 4 del 1965. Giudicando della legittimità costituzionale degli artt. 8 e 158 del R. D. 4 febbraio 1915, n. 148, contenente il testo unico della legge comunale e provinciale (art. 8 – “Il Prefetto, i Sottoprefetti e coloro che ne fanno le veci, non possono essere chiamati a rendere conto dell'esercizio delle loro funzioni, fuorchè dalla superiore autorità amministrativa, né sottoposti a procedimento per alcun atto di tale esercizio senza autorizzazione del Re, previo parere del Consiglio di Stato, salvo l'eccezione di cui all'art. 113”; l’art. 158 estendeva tale disposizione ai sindaci) la Corte ha stabilito:

“...il subordinare ad una autorizzazione amministrativa l'attuazione di quella responsabilità é renderne possibile l'esonero discrezionale, perché discrezionalmente deve in tal caso esserne consentito l'esperimento; il che segnatamente non é permesso prescrivere in materia penale, essendo eccezionalmente dettati, e da norme costituzionali, i casi di deroga al principio dell'obbligatorietà dell'azione del P. M..”

Lo stesso principio è stato riaffermato, con maggior dettaglio, nella sentenza n. 300/1984.

Giudicando della legittimità costituzionale dell’autorizzazione a procedere prevista per i parlamentari europei dal Protocollo sui privilegi e sull’immunità allegato al Trattato che istituisce un Consiglio unico e una Commissione unica delle Comunità europee sottoscritto a Bruxelles l'8 aprile 1965, la Corte ha osservato:

“…immunità e prerogative, concesse per legge ordinaria, sicuramente determinerebbero diseguaglianze fra i cittadini…
Tanto meno, d'altra parte, può essere trascurato l'ostacolo rappresentato dall'art. 112, anche in collegamento all'art. 104 Cost.. Salvo qualche isolata voce, che afferma estraneo l'istituto dell'autorizzazione a procedere ai problemi concernenti l'azione penale e la sua obbligatorietà, prevalente ed autorevole dottrina ritiene non facilmente superabile il contrasto col detto parametro in ogni ipotesi di autorizzazione a procedere diversa da quelle previste dalla Costituzione o dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, ambo manifestamente ispirate a salvaguardia di funzioni costituzionali….

Del resto, anche il legislatore, abrogando con l. 10 maggio 1978 n. 170 analoghe prerogative previste dall'art. 9 della l. 25 gennaio 1962 n. 20

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per i funzionari addetti alla Commissione Inquirente del Parlamento e alla Corte Costituzionale, nonché per Polizia e F.F.A.A., limitatamente a fatti di reato commessi nell'esecuzione di ordini emanati dai predetti Organi costituzionali, si é evidentemente allineato a quelle considerazioni. Talché oggi non esistono più nell'Ordinamento prerogative, dipendenti da leggi ordinarie, che subordinino a condizioni di procedibilità l'azione penale nei confronti di persone diverse da quelle contemplate dalla Costituzione o da leggi costituzionali.

4.7

Il principio di fondo stabilito dalla Corte è che la limitazione del principio dell’eguale sottoposizione alla giurisdizione deve avere fondamento costituzionale, deve basarsi cioè su disposizioni espresse della Costituzione o di fonti di rango analogo oppure deve essere direttamente deducibile da principi costituzionali.

Questa linea di pensiero è stata costantemente seguita sia quando si trattava di giudicare di esenzioni (temporanee o definitive, automatiche o sottoposte a delibazione di organi pubblici) che nei casi in cui venivano in rilievo mere cause di sospensione del processo.

Così, giudicando della legittimità dell’immunità dalla giurisdizione civile dell’agente diplomatico (Sent. n. 48/1979) la Corte ha osservato:

“… l'ordinamento italiano si é adeguato, ancor prima dell'entrata in vigore della Costituzione, alla norma di diritto internazionale, generalmente riconosciuta, che ha sancito l'obbligo degli Stati di riconoscere reciprocamente ai propri rappresentanti diplomatici l'immunità dalla giurisdizione civile, anche per gli atti posti in essere quali privati individui.
In proposito la concorde dottrina internazionalistica, numerosi atti di legislazione dei singoli ordinamenti statali, la giurisprudenza consolidata dei giudici interni e soprattutto la consuetudine più che secolare degli Stati nelle loro reciproche relazioni, dimostrano, senza possibilità di dubbio, la nascita di una norma generale avente per oggetto tale immunità, che é riconosciuta all'agente diplomatico per la sua attività privata e non in quanto agisca quale organo dello Stato straniero: in tale ipotesi, infatti, la sua attività sarebbe imputabile allo Stato stesso. La consuetudine é sorta non per attribuire un privilegio personale, ma al fine di assicurare in ogni caso che il diplomatico possa compiere il suo ufficio. Invero l'immunità dalla giurisdizione civile, sia pure con talune eccezioni, é apparsa necessaria proprio per garantire la piena indipendenza nell'espletamento della missione: ne impediatur legatio”


PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.15

PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO



Nella sentenza n. 300/1984 sopra citata, il fondamento (costituzionale) dell’immunità per i parlamentari europei è individuato nell’art. 11 della Costituzione:

“…devesi soltanto stabilire a questo punto se il Trattato, sottoscritto a Bruxelles l'8 aprile 1965, e il Protocollo ad esso allegato, corrispondano o meno alle condizioni e alle finalità contemplate nell'art. 11 Cost..
Orbene, quanto alle finalità del Trattato, esse sono rappresentate dalla istituzione di un unico Consiglio e di un'unica Commissione, così riunificandosi i corrispondenti organismi delle tre Comunità europee (C.E.E., C.E.E.A. e C.E.C.A.). Si tratta, perciò, di un ulteriore progresso sul sofferto cammino dell'unificazione europea, anche politica, strumento essenziale per l'instaurazione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni: e ciò al fine di evitare il ricorso a quelle ostilità che l'Italia solennemente ha ripudiato nel primo inciso dell'art. 11 Cost..
Ed é appena il caso di rilevare che l'allegato Protocollo, attribuendo ai parlamentari europei immunità e prerogative adeguate a quelle che gli Stati della Comunità concedono ai propri parlamentari, realizza perfettamente tanto le finalità del Trattato quanto quelle dell'art. 11 Cost. proprio perché quelle guarentigie rispondono alla stessa ratio che questa Corte aveva precisato - come sopra si é ricordato - "nell'esigenza di proteggere la sfera di autonomia delle Camere e garantire l'esercizio della funzione parlamentare".
Non può esservi dubbio, pertanto, che, quanto a finalità, l'autorizzazione preventiva di cui all'art. 11 Cost. é nella specie sicuramente operativa.”

Nella sentenza n. 148/1983, giudicando della legittimità costituzionale della causa di non punibilità dei componenti del CSM per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni e concernenti l'oggetto della discussione, istituita con legge ordinaria (art. 5 L 3 gennaio 1981 n. 1), la Corte in primo luogo ha sottolineato come le censure d’incostituzionalità avessero inesattamente individuato la natura giuridica dell’istituto:

“simili ragionamenti hanno…il torto di confondere, collocandole sul
medesimo piano, garanzie di natura diversissima. La posizione che questa Corte ha preso nella sentenza n. 4 del 1965 dev'esser riferita - come risulta con chiarezza dalla motivazione - ai "casi di deroga al principio dell'obbligatorietà dell'azione del pubblico ministero", con particolare riguardo all'autorizzazione a procedere nei confronti di determinati soggetti. Ben altro é invece il caso delle cause di non punibilità, stabilite in vista dell'esercizio di determinate funzioni. Norme siffatte abbisognano di un puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da altre leggi costituzionali; ma non é indispensabile - ad avviso della Corte - che il fondamento consista in una previsione esplicita.”

PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.16

PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO


Passando poi a individuare “il fondamento” della causa di non punibilità la Corte ha così motivato:

“… la parte centrale e costituzionalmente necessaria dell'azione del Consiglio consiste in apprezzamenti sulle attitudini, sui meriti e sui demeriti dei magistrati da assegnare ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre a procedimenti disciplinari e via dicendo. Ma la garanzia che il Consiglio é chiamato ad offrire in tal campo, proprio per poter essere effettiva, richiede a sua volta che i componenti del Consiglio stesso siano liberi di manifestare le loro convinzioni, senza venire in sostanza costretti ad autocensure che minerebbero il buon andamento della magistratura. In altre parole, é nella logica del disegno costituzionale che il Consiglio sia garantito nella propria indipendenza, tanto nei rapporti con altri poteri quanto nei rapporti con l'ordine giudiziario, "nella misura necessaria a preservarlo da influenze" che potrebbero indirettamente pregiudicare "l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia"

4.8

Infine va sottolineato che con la sentenza n. 281 del 1995 anche una causa di sospensione stabilita per finalità “endoprocessuali” (art. 71 c.p.p. - sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato) sia stata ricollegata a valori costituzionali, nel caso di specie ritenuti prevalenti rispetto al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale che il remittente riteneva di fatto compromesso dalla” certezza dell’illimitata durata del processo”:

Fra il diritto di essere giudicato (che non esclude che all'esito del giudizio venga pronunciata condanna) e il diritto di autodifendersi deve, infatti, ritenersi prevalente quest'ultimo (cfr., ancora, sentenza n. 23 del 1979). Non appare vulnerato neppure il principio di obbligatorietà dell'azione penale perché […]l'esercizio dell'azione penale è solo sospeso a tutela del diritto costituzionalmente tutelato all'autodifesa.

* * *

In conclusione va riaffermato che un regime differenziato riguardo all’esercizio della giurisdizione incidendo su valori fondamentali dello Stato di diritto deve essere ragionevole e coerente con il sistema delle prerogative attualmente previsto in relazione ad organi costituzionali e di rilevanza costituzionale.

La modifica delle norme costituzionali che prevedono l’eguale sottoposizione di tutti i soggetti alla legge e l’attribuzione di uno status di inviolabilità (durante il

PROCURA DELLA REPUBBLICA Foglio n.17

PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO


mandato) a favore di talune “alte cariche “ deve essere effettuato con legge costituzionale, con le garanzie previste dall’art. 138 Costituzione.





Milano, 26 settembre 2008


Il Pubblico Ministero
Fabio De Pasquale
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