I preti in cattedra
di Luigi Rodelli
EDUCAZIONE POPOLARE
Sotto questa voce sono stanziati 5 miliardi e 265 milioni. La relazione dice: “La scuola popolare, istituita col provvido decreto legislativo 17 dicembre 1947, n.1590, ha dimostrato di essere un validissimo strumento di lotta contro l’analfabetismo degli adulti, di completamento dell’istruzione elementare, di aggiornamento culturale dei lavoratori e delle casalinghe”. Per capire dove va a finire buona parte di quei 5 miliardi basta osservare che i “Corsi popolari A,B,C,” possono essere organizzati a carico dello Stato – ed anche nei locali della scuola statale – da enti e associazioni “che si occupano dell’educazione e dell’assistenza del popolo”. La latitudine di questa formula permette che quella metà del fondo unico, che per legge può essere destinato agli enti non statali, vada alle parrocchie e agli enti ecclesiastici, tanto più che in ogni comune deve funzionare un comitato comunale di cui fa parte il parroco. “Corsi itineranti”, “corsi per famiglia”, (l’insegnante si reca nelle case dove le donne siano “restie a frequentare la scuola pubblica”!), “centri di lettura”, “bibliobus”, “corsi di orientamento musicale”, “corsi per apprendisti”, in applicazione della legge sull’apprendistato diventano “validissimi strumenti” di azione di parte, e la lotta contro l’analfabetismo degli adulti si trasforma in propaganda confessionale e governativa, pagata col denaro dei contribuenti. La stessa nomina degli insegnanti delle scuole popolari è, a sua volta, pascolo democristiano.
Un chiaro giudizio sulla situazione attuale, inquadrato in una corretta impostazione del problema, è in queste parole del presidente della “Unione italiana della cultura popolare”:
Troppe improvvisazioni e troppi errori marchiani tengono ancora il campo in questo settore perché non si debba concludere che anche il poco denaro disponibile è spesso sciupato. Basti rilevare che le iniziative di educazione degli adulti sono nel maggior numero dei casi affidate a giovani insegnanti privi di ogni esperienza umana e solo bisognevoli di un modesto posto. Ma il criterio della occupazione di giovani disoccupati che riesce a dar loro il prestigio di cui hanno bisogno di fronte a uomini fatti, che non sono disposti a sedere nei banchi di scuola come ragazzini ma intuiscono che la modesta conquista culturale cui sono invitati ha un valore che trascende l’intento della lotta contro l’analfabetismo o della diffusione di poche nozioni.
Essi frequentano la scuola per gli adulti solo perché e quando li interessa, cioè quando va incontro ad un loro umano interesse e, questo veramente soddisfacendo, li elevi ad una dignità nuova rendendoli capaci di relazioni più vaste, facendoli vivere entro un orizzonte più spazioso.
ISTRUZIONE TECNICA E PROFESSIONALE
Il bilancio è attualmente diviso fra sei ministeri diversi e la Cassa del Mezzogiorno. Lo stanziamento straordinario di 2 miliardi per la scuola “regolare” dello Stato è definito dal relatore “un’arra di speranza” per la scuola dello Stato, “spettatrice finora a bocca asciutta del fluire di tanti miliardi a favore di non regolari – e diciamolo pure – poco proficue iniziative”. Ammissione, questa, importante e preziosa, dal momento che il Governo è sempre pronto a dichiarare che non vi sono fondi per la scuola statale e lo stesso on. Franceschini è un gran fautore delle scuole “libere” ma sovvenzionate.
Fra le iniziative non statali, ricordate dalla relazione Franceschini, figurano in primo piano le “acli” con 1058 corsi finanziati dallo Stato e 27.483 allievi. A titolo d’onore sono citate quelle scuole professionali salesiane (122 scuole industriali agricole e 743 laboratori-scuola) – nonché quelle dei “fratelli delle scuole cristiane! (17 istituti con 6.000 alunni) – che, sotto il manto dell’assistenza, sfruttano il lavoro dei minori, non ancora in età di lavoro, ed eludono l’obbligo del contratto di apprendistato per i ragazzi di età superiore ai 14 anni, sì che, lavorando per conto di terzi senza pagare le tasse, fanno concorrenza sleale ad altri artigiani od industrie. Se un privato cittadino impartisse in questo modo l’istruzione professionale non gli sarebbero subito addosso – a tacere del rigore delle leggi che stanno a tutela dei minorenni – gli artigiani e gli industriali in difesa degli interessi della categoria?
Il rilievo dato all’“ente nazionale acli per la istruzione professionale” (“enaip”), ai corsi per i “giovani coltivatori” e per le “donne rurali” della “confederazione dei coltivatori diretti” e alle altre istituzioni a sfondo confessionale sta ad indicare la direzione in cui dovrà defluire il denaro pubblico per realizzare il piano di trasformazione corporativa dell’istruzione professionale. L’on. Franceschini, che formula auguri e speranze per la scuola di Stato, è lo stesso on. Franceschini della proposta di legge Franceschini sull’“ordinamento autonomo dell’istruzione tecnica e dell’educazione professionale”. L’istituto tecnico, scuola eminentemente statale in Italia, secondo quella proposta di legge, sarebbe destinato, come s’è visto, ad essere conglobato nella corporazione “autonoma” ecclesiastico-industriale. Non il cittadino lavoratore, ma il grande capitale e gli ordini religiosi sono chiamati ad incontrarsi con lo Stato e a far blocco con esso. La formazione del conclamato homo faber, nelle scuole professionali organizzate dai consorzi provinciali, avrebbe dunque – alla vigilia dell’automazione – all’insegna di S.Giuseppe falegname
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