
Italia sputtanata. Il presidente del Consiglio se ne intende. Tre domande, di Stefano Manichini, Gianfranco Pasquino e nostra
di Valter Vecellio
La domanda di Manichini e di Europa.
«L’Italia sputtanata», tuona il presidente del Consiglio, protagonista a Benevento dell’’ennesimo attacco a testa bassa contro i presunti autori del complotto contro di lui e il suo governo: stampa internazionale (tutti: “New York Times”, “Economist”, “Times”, “Guardian”, “Le Figaro”, “Die Welt”, “El Pais”, “El Mundo”, “Wall Street Journal”…), presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, magistratura associata, giornali italiani (da intendere: “Repubblica”, “Espresso”, “Corriere della Sera”…esclusi insomma, i giornali di casa);, conduttori televisivi (Santoro, Floris, Fazio…), gli onnipresenti comunisti (strana accusa per chi ha per “caro amico” un comunista vero come Vladimir Putin)…la cosa è facilmente liquidabile con una facile, scontata battuta: il presidente del Consiglio sa evidentemente di che cosa parla, dice quel che dice a ragion veduta conoscendo a fondo la materia. Più seriamente: sì, l’Italia è sputtanata, e l’autore dello “sputtanamento” è chi lo denuncia.
Più che confutare le corbellerie ormai quotidiane del presidente del Consiglio, frutto evidentemente di una strategia “difensiva” che avrà congegnato con i suoi consiglieri (gli avranno consigliato, per esempio, a Benevento, la camicia nera come simbolo evocativo, o semplicemente per cercare di occultare una antiestetica pancetta?), è piuttosto opportuno spendere qualche riflessione su chi, dall’opposizione, dovrebbe fornire un’alternativa allo sgoverno esistente e dilagante; un’alternativa che – per quanto evocata – non si vede e non si coglie.
Il direttore di “Europa” Stefano Manichini domenica nell’editoriale che apriva il suo giornale sottolineava che nel PD sono ancora troppe le tensioni accumulate, troppi i nodi interni da sciogliere: “Gli osservatori hanno avuto l’impressione di una inadeguatezza complessiva, dei candidati e del partito. Non si può dare loro del tutto torto…”. Poco prima annotava che a fallire non è stato tanto il progetto del PD, quanto “gli uomini che lo incarnavano. Gli uomini che danno gambe alle idee”, e non si nascondeva che il gruppo dirigente del partito si è caratterizzato per una quantità di sbandamenti e l’incapacità di dare all’Italia “prima governi forti e duraturi adesso un’alternativa valida al peggiore dei presidenti del Consiglio da 150 anni”.
Un’editoriale, quello di Manichini, lucido e impietoso, che si apre con il quesito-battuta di Diego Bianchi-Zoro: “Alle primarie vanno a vota’ i simpatizzanti. I simpatizzanti? Ma se stamo sul cazzo a tutti, quali simpatizzanti?”.
E siamo alla seconda domanda.
C’è chi, questo nodo, lo scioglie gordianamente. Per esempio Gianfranco Pasquino, sul “Fatto quotidiano”: “…Con una procedura bizantina, di cui è difficile valutare le caratteristiche di democraticità, usando perviacemente una terminologia fuorviante (non sono primarie, ma sono votazioni per eleggere il segretario del partito)…il PD tenta di mascherare la sua impotenza politica con un presumibile bagno di folla”, è la radiografia del politologo bolognese.
“Sconfiggere Berlusconi”, osserva Pasquino, “non per via giudiziaria, peraltro nient’affatto da scartare poiché la politica democratica non è al di sopra delle leggi né, tantomeno, della Costituzione, ma per via politica, richiede per l’appunto un’azione, un progetto, una leadership politica…Le idee politiche camminano sulle gambe dell’organizzazione e delle persone che sono disposte, almeno per una parte della loro vita, a rischiare, non a fare compromessi. Il codice etico del partito, che non contempla indicazioni sul cumulo delle cariche e sul passaggio da cariche a cariche, deve essere potenziato da un codice politico che garantisca democrazia interna e circolazione di una classe dirigente che ha sostanzialmente fallito. In attesa di un’impennata qualitativa della competizione, sarebbe interessante avere risposte precise su come verrà governato il PD per tutto il tempo che non riuscirà a governare il paese”.
Terza domanda: i radicali.
C’è un grosso problema: quello di un’opposizione che non sa e non riesce a essere tale. Ha giustamente sconcertato indignato la vicenda delle tante assenze dei deputati dell’opposizione che in occasione del voto sullo scudo fiscale. Ma questa vicenda è solo la punta di un iceberg. Né si può pensare che il problema sia costituito da un Carneade che per l’occasione si chiama Antonio Gaglione, un habitué dell’assenteismo parlamentare: ha “disertato” ben 4045. Ora non c’è dubbio che se davvero Antonio Gaglione si è permesso di disertare 4045 l’aula di Montecitorio, è giusto che sia additato a pubblica esecrazione, non foss’altro per il suo sprezzante e disgustoso modo di reagire alle osservazioni di chi gli chiedeva conto del suo assenteismo. Ma per sapere: se avesse “disertato” il voto “solo” 4044 volte, se per caso in occasione della vicenda dello scudo fiscale si fosse presentato e votato, il problema non si sarebbe posto? Per essere più chiari: perché la presidenza del gruppo del PD ha tollerato che Gaglione per ben 4044 non facesse il suo dovere di parlamentare, e solo alla 4045 ci si è indignati”? A difesa di un’altra parlamentare assente, Paola Binetti, che nel momento cruciale era a una manifestazione della Croce Rossa, si dice che è tra i parlamentari più assidui. Peggio che andar di notte: è stata mandata a Montecitorio perché partecipi a manifestazioni della Croce Rossa? E non è di una inaudita gravita che chi è sempre presente, proprio quel giorno non lo sia stato? Al di là dei singoli episodi della singola vicenda, forse, non è più opportuno, necessario e urgente chiedere per esempio ragionare sul modo in cui si è gestito il gruppo parlamentare del PD alla Camera e al Senato? Le vicende alla “Dorina Bianchi”, i “patti” stipulati con i Gasparri di turno, non sono la certificazione che qualcosa, molto non va?
Non è il caso di cominciare a parlare del modo esemplare, per quel che riguarda comportamento istituzionale, serietà e rigore, della delegazione radicale alla Camera e al Senato, del loro lavoro in aula e in commissione, la loro correttezza formale e sostanziale, che tuttavia non impedisce (e anzi, forse proprio per questo), li rende all’interno del gruppo stesso degli “appestati”, considerati degli alieni, corpi estranei? Siamo sicuri che il loro approccio, il loro “fare” non possano costituire utile, prezioso “materiale” per una riflessione di tutti? Quand’è che sarà possibile fare un raffronto sul comportamento dei parlamentari radicali, e il loro modo di essere e fare opposizione, con quello degli altri parlamentari del PD, siano essi di origine DS, Margherita, teo-dem? In una parola: ci sono parlamentari leali, ci sono parlamentari fedeli. Possibile che i primi debbano essere sempre mortificati, e i secondi premiati?
Se con la stessa compiaciuta sollecitudine con cui si registrano le iniziative di Antonio di Pietro e dell’Italia dei Valori ci si aprisse anche alle iniziative politiche dei radicali, e non sporadicamente come finora accade, non sarebbe un buon servizio alla causa che si intende rappresentare, alla politica stessa? I radicali, per la prima volta, hanno deciso di essere presenti, in modo organico e non episodico, a elezioni amministrative, come le prossime regionali. Questo è un dato politico che non dovrebbe essere sottovalutato. E’ troppo chiedere che finalmente sia avviata una discussione seria, un confronto alla luce del sole, su contenuti, questioni, programmi?
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