domenica 16 maggio 2010

GIORGIANA MASI e LO STATO CHE UCCIDE


12 maggio 1977, Giorgiana Masi. Un delitto di Stato

di Marco Pannella

12 maggio del 1977: la festa popolare indetta dai radicali per ricordare la vittoria del divorzio e per raccogliere le firme per gli otto referendum, è vietata. I cittadini che, pacifici, vanno in piazza Navona, trovano il centro di Roma pieno di carabinieri e agenti: sono caricati, respinti, picchiati. Anche i parlamentari ricevono questo trattamento. Le cariche diventano sparatorie. Arrivano giovani armati, che provocano e spargono il terrore tra tutti, cittadini, carabinieri, agenti: “assassini”, “autonomi”, “teppisti”? No, sono poliziotti travestiti, messi in campo dalla Questura di Roma.
Il Governo, avvertito dai parlamentari radicali, non interviene per mettere fine al massacro. Con spaventosa determinazione, dalle due del pomeriggio alle otto della sera, le forze dell’ordine, in divisa o in “borghese”, cercano l’incidente clamoroso, il morto, chiunque esso sia: anche un carabiniere, un agente. La vittima è Giorgiana Masi, 19 anni, colpita alla schiena, mentre cerca di fuggire da una carica della polizia. Nei giorni successivi i radicali raccolgono, su questo delitto di Stato una documentazione minuziosa, ora per ora, minuto per minuto: tra fotografie e testimonianze, l’allucinante analisi di un’esecuzione; se ne ricava un Libro Bianco, “Cronaca di una Strage”, con, tra gli altri, prefazioni e interventi di Camilla Cederna, Maria Antonietta Macciocchi, Marco Pannella, Antonello Trombadori. Il testo che segue è appunto quanto scrisse Pannella in quell’occasione.

Vogliono criminalizzare l'opposizione democratica, parlamentare e extraparlamentare; l’opposizione laica, libertaria, socialista, nonviolenta, alternativa; quella del progetto dei referendum costituzionali che oggi si sta realizzando. S'illudono di poter fare terra bruciata fra l'"alternativa" delle Brigate Rosse e il Governo d'unità nazionale diretto da Moro o Andreotti o Cossiga, con l'appoggio di Berlinguer e Craxi.


Anche per questo, il Gruppo parlamentare radicale e Prova Radicale hanno deciso di diffondere questo libro bianco sugli avvenimenti del 12 maggio 1977 a piazza Navona. La ricostruzione dei fatti è, come si dice, obiettiva, fondata integralmente sulle cronache dei quotidiani di ogni tendenza e sulle testimonianze di parlamentari, giornalisti, fotografi. Il 12 maggio a piazza Navona lo Stato ha realizzato l'episodio forse più grave, certo il più manifesto, della sua politica delle stragi: ai responsabili diretti e indiretti è necessario farne pagare tutte le conseguenze politiche e penali.


In sede giudiziaria, intendiamo mostrare e dimostrare che l'assassinio di Giorgiana Masi, il ferimento di almeno dieci cittadini con colpi di arma da fuoco e di molte decine con vari corpi contundenti, i gas lacrimogeni con cui si è intossicato mezzo centro storico di Roma, la provocazione violenta e a freddo esercitata contro parlamentari, giornalisti, fotografi con ogni sorta di ingiurie da parte di funzionari dello Stato, la violazione flagrante di decine di norme che regolano l'intervento della polizia in servizio di ordine pubblico, danno corpo anche alla fattispecie penali di stage e di strage politica.


In sede parlamentare, intendiamo mettere sotto accusa il Governo perché ha violato le leggi, mentito al Parlamento, scatenato violenza e morte contro pacifici e democratici cittadini, imposto alla capitale norme fasciste già dichiarate incostituzionali dalla Corte, costretto agenti della Repubblica ad operare manifestamente come bande di teppisti e di provocatori.


E ci riserviamo sin d'ora di denunciare all'Inquirente il Presidente del Consiglio, il ministro degli Interni e quello della Difesa per attentato alla Costituzione, in attuazione dell'unico disegno criminoso che, a partire dalle "degenerazioni" del SIFAR, passando per le stragi di piazza Fontana, piazza della Loggia, di Peteano fino a quella di piazza Navona, il potere va perseguendo contro la Repubblica e la democrazia.


In sede più propriamente politica, intendiamo denunciare a tutti i compagni in primo luogo il vertice del PCI per il suo sostegno incondizionato, oltranzista, dato in questa (come in altre) occasioni alla delinquenza assassina dello Stato, rivolgendo la propria polemica politica contro l'opposizione democratica e costituzionale, con procedure maccartiste e antipopolari di caccia alle streghe, di linciaggio morale del dissenso, di omissione e di censura di ogni difesa dei diritti del cittadino e della Costituzione.


Intendiamo infine reintegrare il diritto costituzionale e civile a un'informazione completa e leale, ce i sicari democristiani e "socialisti" della RAI-TV, l'indegna commissione parlamentare di vigilanza (della quale facciamo parte d'ufficio) sequestrano ai cittadini italiani, per accecare, ben più di quanto non possano i gas lacrimogeni, l'opinione pubblica togliendole ogni possibilità di prima conoscere i fatti per poi poterli giudicare. I sostenitori del regime (siano quelli degli "accordi programmatici", quelli del "governo d'emergenza", o quelli degli "accordi politici di nuova maggioranza") sono innanzitutto, ormai, uniti dalla paura del popolo e del suo giudizio.


Anche per questo il libro bianco sul 12 maggio è importante. Ciascuno lo legga e ne tragga le conseguenze e i giudizi che gli parranno più opportuni. Noi abbiamo qualcosa da osservare, precisare, aggiungere all'esposizione dei fatti.


1) I radicali avevano annunciato e garantito che la manifestazione convocata per il 12 maggio sarebbe stata rigorosamente nonviolenta. Si erano così assunti una responsabilità che a molti era sembrata avventata o al di fuori della loro forza politica. Come potevano gli inermi e nonviolenti difensori dei diritti civili, senza servizi d'ordine, senza armate di funzionari, burocrati, militanti inquadrati, garantire quell'ordine pubblico, quella pacifica atmosfera di festa popolare che promettevano? Nella Roma di oggi, con l'adesione non solamente di Lotta Continua, del Movimento degli studenti, ma anche degli "autonomi", e del Collettivo di via dei Volsci? I fatti hanno dimostrato che i radicali non solamente erano in condizione di ben prevedere, ma che si è avuta in quella occasione a Roma la più impressionante prova di senso civico di forza e disciplina nonviolenta che sia stata fornita in questi anni.


A Roma, attorno a piazza Navona, il 12 pomeriggio, migliaia di agenti delle varie forze di polizia hanno avuto l'ordine di attaccare "a vista", con bande di teppisti, con armi da fuoco, con il lancio criminale ad altezza d'uomo dei candelotti lacrimogeni, con provocazioni e aggressioni di ogni natura, ogni passante suscettibile d'esser considerato un potenziale "firmatario" o "ascoltatore di musica" a piazza Navona. Lo hanno fatto per oltre sette ore di seguito, investendo un terzo del centro storico. Lo hanno fatto, senza disobbedire perché sin dalle 15 è stata fatta circolare la voce che i manifestanti avevano già sparato e ferito molti agenti; perché il governo è ormai riuscito a seminare terrore, paura e odio in questi ragazzi e lavoratori, sfruttati come pochi altri. Lo hanno fatto, perché fra di loro - come ovunque - vi sono degli adepti delle politiche delle stragi, dei fascisti, dei violenti, dei poliziotti allevati nel culto di leggi e "ideali" assassini.


Da parte loro, quanti erano i "manifestanti" (in realtà nessuno ha "manifestato" niente: si trattava di sospetti radicali e extraparlamentari)? Dieci, ventimila? Non lo sapremo mai.


Quel che sappiamo è che forse in nessun Paese, e in nessun altro caso, si sarebbe avuta la risposta nonviolenta, esemplare, del 12 maggio a Roma. Strano davvero: nessuno, finora, ha mostrato di notarlo. Qual è, infatti, il bilancio degli "scontri"?


Da parte dello Stato, che ha agito da fuorilegge, in modo criminale, si è denunciato in tutto e per tutto un graffio al polso di un carabiniere. Più di millecinquecento uomini, sottoposti per sette ore a "duri attacchi" che hanno loro "imposto" ferro e fuoco, la violazione di regolamenti e norme, non possono lamentare che un graffio a un polso.


Da parte nostra: una morta, feriti, contusi, arrestati, gli insulti e le ingiurie, da quelli degli sgherri fascisti in strada, a quelli, alla Camera, degli impazziti, inferociti compagni del PCI D'Alema e Trombadori, passati troppo velocemente dallo stalinismo al maccartismo.


"Non gli è restato che Pannella", intitolava il suo fondo, il 18 maggio Aniello Coppola, su Paese Sera. Alludeva naturalmente, agli "assassini autonomi", a "quelli delle P38".


Dal 12 maggio gridiamo, infatti, che quel giorno, in quelle strade, non abbiamo incontrato che cittadini esemplari, giovani democratici, coraggiosi, responsabili, leali nei confronti degli impegni politici nonviolenti che avevano preso. Lo abbiamo fatto in Parlamento, per le strade, senza viltà, quando sembrava follia o menzogna. Ci auguriamo che ci sia possibile tornare a farlo presto e spesso,, con tutti i compagni di tutto il movimento. Lottiamo anche per questo.


Ai Trombadori, ai D'Alema, agli Aniello Coppola dedichiamo dunque con fierezza questo nostro pur tragico e doloroso bilancio di democratici capaci e rigorosi, ancora una volta colpiti dalla violenza assassina del potere.


A loro, e a Ugo Spagnoli, a Cossutta, perché smettano al più presto, se ancora lo possono, di esserne i sostenitori e gli alleati.


2) La nostra documentazione, e quella già conosciuta, mostrano che il 12 maggio era in piazza l'intero campionario di "autonomi" e di "assassini", c'erano i giovani dal volto coperto, armati di spranghe e di pietre; gli armati con le pistole a tamburo, con le P38, con e senza borsetti, sia di stile NAP che di stile servizi segreti. Tutti poliziotti. E a Milano? E gli altri giorni? Cosa sarebbe accaduto se qualcuno di questi travestiti fosse stato ammazzato, perché "autonomo" d'aspetto? Cosa sarebbe accaduto se un provocatore avesse ucciso un collega poliziotto, come si usa spesso, invece che Giorgiana?


Per sette ore si è cercato il morto, in ogni modo, con rabbia. Come se la polizia fosse stata sorpresa, frustrata dalla reazione nonviolenta. Quanta gente si sarebbe ammazzata, che razza di massacro si contava di riuscire a provocare? E perché?


Proviamo a rispondere. Se i morti fossero stati tanti, e fra questi alcuni agenti, magari un commissario, un vicequestore (possibilmente democratico), di quanti giorni e settimane sarebbe stato protratto il divieto di manifestazioni politiche a Roma e magari in tutta Italia? E ancora, quali cittadini avrebbero più apposto una sola firma al progetto dei referendum che sta ora, invece, andando forse in porto? E, di fronte allo scontato sdegno popolare contro i radicali, Lotta Continua, il Comitato dei referendum, quali "restrizioni" erano già state "considerate"? Il 13 maggio, alla Camera, il ministro Cossiga ci ha lanciato infatti una sorta di avviso mafioso, mentre dava il suo resoconto, vile e menzognero: è l'unico momento in cui ha osato guardarci. Nessuno si sogna - ha detto il ministro - di voler interferire con i diritti dei cittadini a firmare e dei radicali a raccogliere le firme. Ce ne sono già tante, che fanno sorgere seri dubbi sulla loro autenticità, ha minacciato.


In questi giorni perfino L'Espresso s'accorge che il progetto radicale, se va in porto, rischia di ridicolizzare da solo tutta la danza macabra che Moro e Berlinguer, Craxi e Zanone, Romita e Biasini stanno menando da settimane attorno al pacchetto programmatico per una "nuova maggioranza".


Di che cosa s'occupa, dunque, Cossiga? E' lui l'addetto al salvataggio del compromesso "storico", da una parte, e della politica delle stragi, dall'altra, contro il colpo mortale che il progetto dei referendum, se scattasse, apporterebbe loro?


3) Sappiamo che molta gente è turbata. Non ha compreso, non comprende. Questa volta non è d'accordo con noi. Come? Proprio noi nonviolenti…, perché abbiamo disubbidito? Anche Scalfari ha scritto un fondo su Repubblica per ricordare, al seguito della canea pcista e maccartista, che se noi non avessimo indetto e mantenuta la manifestazione non vi sarebbero stati morti e feriti. E il senatore Branca (che quand'era presidente della Corte Costituzionale ebbe a dichiarare che la Costituzione o la difendono e la realizzano i cittadini con il loro comportamento o non vedrà mai la luce), haha dato un analogo contributo democratico: "I radicali avevano ragione in tutto", ha scritto sul Messaggero, "ma dovevano abbozzare".


Non a Scalfari, non a Branca, ma alla gente dobbiamo una risposta chiara, convinta, dura.


Noi non accettiamo compromessi di nessun tipo con nessun tipo di violenza; prima di ogni altra quella delle istituzioni, la peggiore, la più grave.


Questo, non altro, significa essere nonviolenti: non essere inerti, rassegnati, complici per omissione della violenza.


La politica delle stragi, di legalità e di persone, in Italia, dura da almeno quindici anni, e vuole imporre definitivamente al paese un sistema anche formalmente autoritario e assassino.


Se la violenza paga, genererà altra e peggiore violenza. Se i cittadini obbediscono a ordini illegittimi, a leggi incostituzionali o disumane, se accettano che lo Stato violi le stesse leggi che ci impone, il potere non ha più limiti né freni; è il fascismo.


Se accettiamo che con il pretesto di colpire gli assassini si tolgano i diritti costituzionali ai nonviolenti, ai democratici, all'immensa maggioranza della gente e si sospende la vita democratica, il potere avrà sempre più "interesse" che i morti aumentino.


Prendete Cossiga, Andreotti, questo Governo. Se anche noi, come il PCI, invece di chiederne le dimissioni e di combatterli perché hanno gettato il paese in un caos ancora peggiore di quello dello scorso anno (e pareva impossibile!), pensassimo solamente a coprirli e sostenerli proprio in ragione delle stragi che dilagano e s'aggravano, finiremmo con il rafforzare la politica della violenza e dei massacri.


Qualche morto è bastato a Cossiga per sospendere per 45 giorni la vita democratica a Roma. Basta allora centuplicarli (una strage che riesca bene, insomma) per soffocare per mesi e mesi quella di tutto il paese.


No. Dalla violenza, dai massacri, dalla strage di legalità e di persone si può uscire solamente non sospendendo ma potenziando la vita democratica, mobilitando le masse, isolando i provocatori, i fanatici di ogni tipo, i disperati, gli illusi e - soprattutto - la DC, con il suo regime, i suoi uomini, i suoi interessi, i suoi ministri, generali, cardinali e affaristi della Lockheed, spie e ricattati dalla CIA e da mezzo mondo.


Da vent'anni rispondono ai nostri digiuni, alle nostre feste, alle nostre lotte pacifiche, processandoci, emarginandoci, arrestandoci, censurandoci, ora anche ammazzandoci e criminalizzandoci come complici di chi assassina. Da vent'anni, sul divorzio, sull'aborto, sull'obiezione di coscienza, sui diritti civili di tutti, continuiamo a disubbidire, obbedendo alle leggi fondamentali della coscienza e della Costituzione. Rispondendo con i fiori, con i lapis e i moduli per le firme, con il dialogo e il rispetto delle leggi giuste e della libertà e dei diritti di tutti e di ciascuno. Non intendiamo cambiare. Il 12 maggio abbiamo fatto il nostro dovere, fino in fondo. Coloro che ci hanno aggrediti, feriti, assassinati non sono stati nemmeno sfiorati con un sasso dalla nostra risposta.


Ma proprio per questo esigiamo che verità sia fatta, giustizia assicurata; subito, ad ogni livello.


Chiediamo a tutti i compagni di mobilitarsi in questa battaglia. Di fornirci altra documentazione, altre testimonianze, di prendere contatto urgentemente con noi perché si sporgano formali denunce, si provino nella misura ancora possibile, violenze e danni subiti, per inserirsi nel processo come parte civile; e costituire un collegio d'avvocati che incardini subito questa necessaria battagli anche a livello giudiziario.


In Parlamento vedremo se continueremo ad essere soli: misureremo il senso dello Stato dei deputati e dei senatori di ogni parte politica. Quanto al Governo, si prepari a rispondere dell'assassinio di Giorgiana Masi, della strage del 12 maggio. Di questo, e d'altro.
Posted By: Unknown

GIORGIANA MASI e LO STATO CHE UCCIDE

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