mercoledì 17 giugno 2009

REFERENDUM - LE RAGIONI DEL NO!


Referendum elettorale: Radicali - Comitato per il NO

“Ci si trova in mezzo ad un pasticcio molto complicato ed è proprio per questo che nei momenti confusi e complessi, l’unico filo che un paese democratico può tirare è quello delle leggi, della regola e della legalità. Mentre invece, in questa occasione come in molte altre, sembra prevalere la convenienza tattica del momento”. Così Emma Bonino è intervenuta durante la conferenza stampa di presentazione del “Comitato per il NO al Referendum elettorale Guzzetta” costituito oggi dai Radicali.

Tra i fondatori, la stessa Bonino, Rocco Berardo, (Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni) Sergio D’Elia (Segretario di Nessuno tocchi Caino), Michele De Lucia (Tesoriere di Radicali Italiani) e Filippo di Robilant. Coordinatore del Comitato è Marco Pannella, Tesoriere del Comitato è l’onorevole Maurizio Turco, deputato radicale. L’iniziativa radicale è tesa a informare quanto più possibile i cittadini italiani della reale posta in gioco con il Referendum.

“Ho l’impressione – ha spiegato la Bonino – che non tutti i leader politici abbiano letto i quesiti referendari e che non siano ben consapevoli dell’esito di questo passaggio politico. L’attuale legge elettorale ci ha dato un parlamento non di eletti ma di nominati e ora ci vogliono convincere che il referendum sia teso a restituire potere e libertà di scelta ai cittadini italiani. Ma non è così perché nel caso si votasse Sì, le liste rimarrebbero bloccate e le persone che siederanno in Parlamento e in Senato, resterebbero nominate e non elette".

"Per questo – ha concluso la Bonino – abbiamo costituito il comitato per il NO: vogliamo che gli italiani tornino ad essere cittadini realmente protagonisti”.

Aperto all’adesione e al sostegno dei singoli elettori, delle associazioni e degli enti, il comitato per il NO si propone di dare un’espressione netta, chiara e trasparente ai “mugugni” interni ad ogni area politica.

Videoconferenza da RADIO RADICALE Porcellum” (o “porcata”) è volgarmente definita la legge n. 270 del 2005, ossia la vigente legge elettorale per le elezioni politiche nazionali.

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QUI DI SEGUITO TROVATE SPIEGATE LE RAGIONI DEL NO -

Perché è definita tale? Per la semplice ragione che fu lo stesso promotore di tale legge, l’allora (ancor oggi!) ministro del Governo Calderoli, a definirla letteralmente una “porcata” dopo soli tre mesi dalla sua approvazione parlamentare (in occasione di un’intervista a Matrix del 15 marzo 2006).

Da qui l’appellativo di “Porcellum” (storpiando il nome “Mattarellum”, con cui era nota la precedente legge risalente al 1993).

PERCHE’ LA LEGGE ELETTORALE VIGENTE E’ UNA “PORCATA”?

L’elemento più discutibile della legge n. 270 non è tanto il passaggio:

- da un sistema elettorale “misto” (prevalentemente maggioritario con quota proporzionale)

- ad un sistema elettorale “proporzionale” (sia pur corretto da un premio di maggioranza)

bensì:

1- l’introduzione di “liste bloccate”.

L’elettore può votare solo per il partito d’appartenenza, senza alcuna possibilità d’indicare le sue preferenze personali (come, invece, avviene per le elezioni europee, regionali e comunali): è rimessa esclusivamente alle segreterie di partito, invece, la stesura delle liste e dell’ordine d’elezione dei candidati!


Perché ciò sarebbe una “porcata”?

Semplicemente (si fa per dire!) perché tale sistema:

a. toglie ai cittadini il diritto di “voto sostanziale” (ossia di scegliere liberamente le persone da cui essere rappresentate in Parlamento)

b. trasforma il Parlamento in un’Assemblea di “nominati” (piuttosto che di eletti!), la cui elezione dei componenti dipende esclusivamente dalle scelte e dalle graduatorie stabilite dai partiti

c. trasforma la democrazia in una “partitocrazia”, un regime di rappresentanza democratica diretto e gestito arbitrariamente dai partiti

d. e mortifica il ruolo e l’autonomia dei parlamentari (se sono le segretarie di partito a “scegliere” i propri rappresentanti parlamentari, si tende inevitabilmente a far prevalere criteri clientelari o parentali piuttosto che meritocratici nella scelta dei “nominati”, assicurandosi dagli eletti non il meglio della competenza e professionalità bensì il massimo della fedeltà e della sudditanza!)

2- l’assegnazione al Senato del premio di maggioranza su “base regionale” (non nazionale).

La coalizione vincente in una determinata regione, dunque, si assicura almeno il 55% dei seggi della regione stessa.

Il problema risiede nel fatto che, potendo le maggioranze politiche variare da regione a regione, ciò rischia:

a. di non garantire una maggioranza politica stabile al Senato (contrariamente a quanto garantito per la Camera: esattamente ciò che è accaduto, per intendersi, nella precedente legislatura di centrosinistra!)

b. di determinare, addirittura, maggioranze politicamente diverse tra la Camera ed il Senato!

COSA PREVEDE IL REFERENDUM DEL 21 GIUGNO PROSSIMO?

Fallito ogni tentativo parlamentare di riformare della legge elettorale, il Comitato promotore del referendum creato dai prof. Segni e Guzzetta ha indicato la via referendaria come unica strada maestra per scardinare dal basso un sistema elettorale inadeguato e “poco democratico”.

In effetti, la storia della seconda Repubblica italiana dimostra come solo la minaccia referendaria ha spinto il Parlamento ad intervenire in materia elettorale!

Ma cosa prevede concretamente il referendum?

Gli Italiani, il prossimo 21 giugno, saranno chiamati ad esprimersi su tre quesiti referendari:

PRIMO: col primo quesito si chiede:

- l’introduzione di un “premio di maggioranza” (pari all’assegnazione del 55% dei seggi) in favore della singola lista più votata alla Camera dei Deputati

- e l’innalzamento della soglia di sbarramento al 4% per l’accesso alla Camera dei deputati.

SECONDO: col secondo quesito si propone:

- l’introduzione di un “premio di maggioranza” (sempre del 55% dei seggi) anche al Senato in favore della singola lista più votata

- e l’innalzamento della soglia di sbarramento all’8% per l’accesso al Senato.

TERZO: col terzo quesito, infine, si reclama di abrogare le “candidature multiple” (anticipo ora che quest’ultimo quesito è l’unico dei tre sicuramente condivisibile!)

COSA CAMBIEREBBE SE VINCESSE IL “SI”?

Se si raggiungesse il quorum (pari al del 50%+1 degli aventi diritto al voto) e se i “Si” prevalessero sui “No”:

1- Non si assegnerebbe più alcun premio di maggioranza alle “coalizioni” (sia alla Camera che al Senato) bensì alle “singole
liste” (ossia ai partiti).
Secondo l’attuale legge elettorale, invece, a beneficiarie del premio di maggioranza possono essere anche le “coalizioni di liste” (il referendum si propone proprio di abrogare la disciplina che permette il collegamento tra liste).

2- Le “soglie di sbarramento” (ossia il livello minimo di voti necessario per ottenere seggi in Parlamento) salirebbero:
- al 4% per la Camera (già oggi è al 4%, ma si riduce al 2% per i partiti coalizzati)
- e all’8% per il Senato (contro il 3% vigente!).

3- Vigerebbe il divieto di “candidature multiple”, ossia di candidare la stessa persona in più circoscrizioni (ad esempio, alle prossime elezioni europee, sia Berlusconi che Di Pietro sono capolista in più circoscrizioni).
Perché ciò sarebbe certamente un bene per la rappresentanza politica?
Perché le “candidature multiple” determinano la conseguente “cooptazione oligarchica” della classe politica: l’eletto in più circoscrizioni (cd. “plurieletto”), infatti, optando per uno dei seggi vinti lascia vacanti gli altri e determina l’elezione dei candidati in subordine!

Ben 1/3 dei parlamentari attualmente in carica sono stati “eletti” per grazia ricevuta: ciò non fa che indurre ad atteggiamenti di sudditanza e di disponibilità degli eletti che danneggiano la dignità della funzione parlamentare!

PERCHE’ ESSERE “CONTRARI” A QUESTO REFERENDUM?

1- Perché L’ESITO DEL REFERENDUM “PEGGIOREREBBE” IL SISTEMA ELETTORALE VIGENTE:

a. non verrebbero ripristinate le “preferenze” (la più evidente falla della legge elettorale “vergogna” vigente!), ossia il diritto degli elettori di scegliere quali rappresentanti mandare in Parlamento

b. e, introducendo un premio di maggioranza in favore della singola lista più votata, si affiderebbe ad un solo partito (anche se questo disponesse solo del 20 o 30% di preferenze, purché il partito nel complesso più votato!) il potere di “occupare” (a mio avviso “abusivamente”) il 55% dei seggi in Parlamento!

Ciò comporterebbe:

a. snaturare il senso di una “democrazia rappresentativa” (la maggioranza del Parlamento sarebbe espressione di una minoranza di Italiani!)

b. accentrare il potere pubblico in poche mani (affidando le chiavi della nostra democrazia, in pratica, nelle mani di un segretario di partito!)

c. e discriminare il voto degli Italiani in base al partito di appartenenza (il voto degli elettori
del partito maggioritario varrebbe “il doppio” rispetto al voto in favore dei partiti minori!)

2- Perché L’ESITO REFERENDARIO SAREBBE INUTILE E FACILMENTE RAGGIRABILE.

Nelle intenzioni di Segni e Guzzetta, il referendum dovrebbe:

a. instaurare un “bipartitico puro” (sull’esempio inglese o americano, per intendersi) in luogo del “bipolarismo” figlio della seconda Repubblica (spingendo gli attuali soggetti politici alla costruzione di due soli partiti contrapposti)

b. ed imporre un “presidenzialismo camuffato” (contrario al “parlamentarismo” delineato dalla Costituzione vigente).

A parte il fatto che:

a. non si sente più un estremo bisogno di “semplificazione” del quadro politico in quanto, dopo le ultime elezioni, una semplificazione è già di fatto avvenuta (sono solo cinque le forze politiche rappresentante in Parlamento: Lega, Pdl, Udc, Pd e Idv)

b. e imporre un “bipartitismo forzato” appaia come un morboso tentativo di seguire una moda politica esterofila lontanissima dalla tradizione politica italiana e dal dna culturale del Paese

tali propositi, in ogni caso, sono destinate ad essere traditi se non raggirati!
Niente e nessuno, infatti, vieterebbe ai partiti attuali di allearsi in due grandi “listoni elettorale” contrapposti (così da competere uniti per conseguire il premio di maggioranza) per poi dividersi, subito dopo le elezioni, in gruppi parlamentari
autonomi!

3- Perché QUESTO REFEREMDUM INDEBOLIREBBE OGNI FORMA DI “PLURALISMO POLITICO”.

I referendari, infatti, sono evidentemente animati da un “intento persecutorio” contro i piccoli partiti!
L’obiettivo del referendari è indurre i soggetti politici minori (ma nemmeno poi tanto “piccoli”, come la Lega, l’Idv e l’Udc) a confluire nei partiti più grandi:
- perdendo la loro identit�
- ed impedendo alle istanze minoritarie di avere “alcun ruolo” (alcuna rappresentanza sostanziale) sulla scena politica.
Con ciò non si vuole difendere ogni forma di “multipartitismo estremo” né incoraggiare la “frammentazione politica” (già oggi, in realtà, lontano ricordo!): si tratta, invece, di riconoscere uno spazio di “esistenza politica” a partiti che, pur contando “milioni di voti”, verrebbero esclusi (se non rinunciassero alla propria identità):
- sia da alcuna possibilità di concorrere al governo del Paese
- sia da alcuna rappresentanza politica parlamentare (specie in Senato, dove risulterà pressoché impossibile per tutti i partiti minori, stante le sirene del “voto utile” in favore dei partiti maggioritari, raggiungere l’alta soglia di sbarramento dell’8%!).

4- Perché QUESTO REFERENDUM E’ “PERICOLOSO PER LA DEMOCRAZIA”!

Fino a che punto le esigenze di “governabilità” e di facile “decisionismo” della maggioranza di Governo possono
spingerci a stravolgere i risultati elettorali (soppesando diversamente il voto dei cittadini)?

Per quale ragione “democratica” si dovrebbe sentire il bisogno estremo di far fuori dal dibattito politico Lega, Idv ed Udc (costringendoli, al massimo, ad essere “fagocitati” dal Pdl e dal Pd)???
Tutti i cittadini hanno diritto a disporre di una “rappresentanza politica” in Parlamento:

- comunque la pensino
- sia pur entro i limiti di un eccessivo “frazionamento” della rappresentanza politica.

Il rischio di un “parlamentarismo confuso” oggi non esiste, essendo escluso dalla presenza di soglie di sbarramento sia per l’accesso alla Camera che al Senato.
Per quale motivo, allora, sopprimere tutte le restanti voci “minoritarie” del Paese?!

LA STORIA SI RIPETE?

Molti, ipotizzando le conseguenze di un successo del referendum elettorale, hanno apertamente parlato di rischio di “emergenza democratica”.
E’ una invocazione eccessiva?
Prima di rispondere sbrigativamente, rinfreschiamo un po’ la memoria … (spero che almeno la Storia, in questo Paese, sia condivisa!).

Il 18 novembre del 1923 è entrata in vigore in Italia la legge elettorale “Acerbo”, che prevedeva:
- l’adozione del sistema maggioritario plurinominale all’interno di un collegio unico nazionale
- e l’elezione in blocco di tutti i candidati della singola lista che otteneva la maggioranza relativa con una percentuale superiore al 25%.
Alle elezioni del 6 aprile 1924 il “Listone” guidato da Benito Mussolini prese il 61,3% dei voti: il premio di maggioranza, così, scattò in favore del Partito nazionale fascista (che, tra le liste parte del Listone, risultò la più votata).
Il resto della storia è facilmente consultabile nei libri scolastici …
Il fascismo non nacque da una rivoluzione ma da una “elezione democratica”, favorito da una legge elettorale non molto diversa da quella che uscirebbe dal referendum del 21 giungo prossimo se passasse il “Si”!!!

Il 31 marzo 1953 fu promulgata la legge elettorale n. 148, definita dai suoi oppositori “Legge truffa”.
Si trattava di una modifica in senso maggioritario della legge proporzionale del 1946: la legge introduceva un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei Deputati alla lista (o al gruppo di liste “apparentate”) in caso di raggiungimento del 50%+1 dei voti validi.
Alle elezioni politiche di quell’anno le liste apparentate guidate dalla Dc ottennero solo il 49,8% dei voti: per un soffio non è scattato il premio di maggioranza previsto!

Ci rendiamo “oggettivamente” conto (al di là del diverso contesto storico-politico in cui viviamo …) che il referendum elettorale del prossimo giugno è una versione “molto peggiorativa”:
- sia della “Legge Acerbo” del ’23
- che della “Legge Truffa” del ‘53?!

PERCHE’ LA SCELTA DEL PD DI VOTARE “SI” E’ “MASOCHISTA”?

Se fosse stato Berlusconi a promuovere un progetto di legge elettorale avente i connotati del referendum qui in oggetto non ho dubbi che la risposta delle opposizioni sarebbe stata prevedibile: tacciare questo come un tentativo di “fascistizzazione” dello Stato!
Come è spiegabile, allora, il fatto che tra i sostenitori del “Si” al referendum vi sia in prima fila il segretario democratico Franceschini?
Il Pd, dimostrando di essere totalmente “allo sbando” (una nave alla “deriva elettorale” senza più timoniere!), ha fatto “tragicamente male” i conti in casa propria: puntando a competere contro Berlusconi come unica forza d’opposizione spendibile in un eventuale sistema bipartitico (delineato dal referendum) rischia di “regalare” il Paese in mano al Pdl non per i prossimi anni bensì per i futuri decenni!
Il convincimento del Pd è quello per cui sostenere il referendum sia il mezzo migliore per ottenere un altro risultato sperato: far pressione sul centrodestra per cambiare in Parlamento il “porcellum”.
Ma quale interesse avrebbe Berlusconi, se vincesse il “Si”, a modificare una legge elettorale (riformulata dal referendum) con cui il Pdl “andrebbe a nozze”???
Immaginiamo qualche possibile scenario:
- in Italia esiste un partito “padronale” (il Pdl) con un consenso che si aggira intorno al 40%
- la legge elettorale (come modificata dal referendum) consegnerebbe le chiavi del Paese al solo partito più votato
- Berlusconi (capo del Pdl) da anni ripete di auspicare (per governare senza impicci e senza i fastidi degli alleati …) di conseguire per il proprio partito la maggioranza assoluta dei consensi
- il Premier ha già dichiarato che voterà (e farà votare) “Si” al referendum del prossimo 21 giugno …
Se vincesse il referendum, c’è qualcuno pronto a scommettere che il Cavaliere si lascerebbe sfuggire l’occasione di indire immediate elezioni (col pretesto di un Parlamento delegittimato a seguito del risultato referendario …)???
Comunque stiano le cose, ovviamente, la contrarietà a questo referendum deve essere “di principio”, prescindendo dagli interessi elettorali di una parte politica o dell’altra!

PERCHE’ E’ PIU’ EFFICACE L’ “ASTENSIONE” CHE IL VOTO CONTRARIO?

Le elezioni referendarie hanno una valenza diversa dalle elezioni europee, politiche o amministrative: conta non solo il voto ma anche il “non voto”!
Anzi l’astensione può contare più del voto se decisiva a non far raggiungere il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto recatisi alle urne!
Per tal ragione, considerata l’alta probabilità che non si raggiunga il quorum (dato il non accorpamento del referendum con le elezioni europee), la strategia migliore (in quanto più efficace) per opporsi al referendum è quella di “non votare”!

L’opzione astensionistica non è affatto una scelta “qualunquista” o inutile: è la stessa Costituzione, prevedendo un quorum per la validità dei referendum abrogativi, a riconoscere un ruolo utile all’astensione!
Per usare le parole di Pancho Pardi: “far mancare il quorum non è manifestazione di indifferenza. E’ difesa attiva della democrazia!”

TI INVITO, INOLTRE, A LEGGERE LA SEZIONE “PROPOSTE PER RIFORMARE LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA ITALIANA” SU:
http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/note.php?note_id=110630519224&ref=mf

Gaspare Serra

fonte: http://spaziolibero.blogattivo.com/




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